17 Ago 2017 Cenerentola
(Italia nord-occidentale, 2010)
Le crescenti difficoltà della finanza pubblica hanno via via rarefatto la presenza degli enti locali a tutela delle abitazioni per le classi meno abbienti. Da alcuni anni si parla di “Housing Sociale“, ossia di residenze a canoni agevolati per quella classe di cittadini (in continua crescita) che non sono troppo poveri per pretendere una casa gratis (o quasi), né troppo ricchi per pagarsi un canone di mercato o la rata di un mutuo.
Da imprenditori ed enti locali questo “Housing Sociale” viene inteso come la realizzazione di case di “serie B”, oppure come una sorta di penalizzazione da scaricare sui costruttori che sviluppano edilizia libera: “ogni 10 alloggi normali, devi farmene uno di housing sociale”. Si istituiscono fondi che hanno la specifica finalità di investire in questi edifici e che impiegano anni di tempo (e risorse) per vagliare dozzine di ipotesi. Facile costruire queste case, se so che c’è un Fondo immobiliare che le acquista, ma in caso contrario…
Frattanto, però, è arrivata la crisi e non è più tanto facile vendere immobili.
Un costruttore, allora, prova ad andare controcorrente. In alcuni comuni riesce a ottenere assegnazioni di aree a prezzi politici, oppure ad accedere a residui di stanziamenti per l’edilizia sociale. Così riesce a realizzare appartamenti che in pratica non pagano il costo dell’area, e perciò risultano più economici degli altri (circa un 20% in meno), impegnandosi a destinarli per un certo numero di anni (da 10 a 15) ad “Housing Sociale”. Predispone un progetto attentissimo all’efficienza energetica, in modo da minimizzare i futuri costi gestionali: serve a poco un canone calmierato se poi i costi di amministrazione sono altissimi!
Quando inizia la costruzione non si rivolge a Fondi immobiliari, ma direttamente al mercato: quante famiglie hanno da parte qualche risparmio, ma non sufficiente ad acquistare un appartamento? Abitano già in una casa di proprietà, e magari possiedono la seconda casa al mare, ma hanno uno o due figli piccoli, e giustamente si preoccupano per il loro futuro. La proposta è chiara: anticipando una cifra contenuta e accendendo un mutuo, si acquista un alloggio che per 10 o 15 anni sarà affittato a canone calmierato: tali canoni saranno però sufficienti a pagare le future rate del mutuo e, scaduto il periodo previsto, il figlio (che frattanto sarà diventato ventenne o poco più) avrà a disposizione l’alloggio per lui.
Il successo è notevole: nei vari cantieri dove avviene questa proposta, al termine dei lavori l’imprenditore ha venduto dal 70% al 90% degli appartamenti in “Housing Sociale”, mentre le vendite in edilizia libera viaggiano fra il 20% e il 40%.
Presentando questa caso aziendale a un convegno a Milano, uno dei nomi più noti dei vertici immobiliari italiani chiede: “Ma quanto rendevano questi alloggi? In Germania, dove le cose funzionano, rendono il 6,5%”.
Quanto avranno potuto rendere, a canoni calmierati? Forse un 2,5%, magari un 3%. La domanda non è pertinente. La redditività è solo uno degli aspetti di un immobile: occorre calarsi nella mentalità dei potenziali acquirenti e comprendere quali sono le priorità che interessano loro, non noi! Il manager di grandi fondi immobiliari potrà anche vivere ossessionato dalla redditività, ma poi si ritrova con una splendida torre a uffici in aperta campagna che ha acquistato quando rendeva un meraviglioso 8,5%, e che adesso non rende più nemmeno la metà della metà, perché quasi del tutto deserta. E a volerla rivendere, puoi solo sperare di demolirla e cambiare destinazione d’uso al terreno.
Attenzione a ragionare solo con l’ottica del grande finanziere, dimenticandoci quella dell’uomo della strada o del piccolo imprenditore, quando proprio costoro potrebbero essere i potenziali acquirenti!