23 Ago 2017 Tutti al mare!
(Spagna sud-occidentale, 1995)
Nel cuore dell’Andalusia, la società immobiliare italiana aveva realizzato questo grande residence negli anni ’70, quando era in espansione e costruiva un po’ dappertutto. Trovato un gestore efficiente, ha mantenuto la proprietà dei monolocali, affidando la gestione del complesso turistico (con ristorante, piscine e negozi) a questa brillante impresa locale che procura un eccellente reddito annuo. In effetti il gestore è davvero abile: ha inserito la struttura in un giro di “tour operator” per lo più anglofoni, ed ecco che il complesso, per dodici mesi l’anno, pullula di canadesi, statunitensi e britannici.
Vent’anni dopo le cose sono cambiate, e l’immobiliare avrebbe bisogno di “ossigeno” finanziario, per cui decide di vendere questi 300 monolocali, che il gestore continua a valorizzare brillantemente come camere d’albergo.
Un anno di pubblicità sulle principali testate economiche italiane dà pochi frutti. Si propone un ottimo investimento immobiliare in Spagna con reddito garantito del 10% annuo. Ma opportunità ce ne sono molte altre, fra gli immobili e non, e il fascino della Spagna non sembra una sirena sufficiente ad attirare investitori oculati.
Il consulente cui viene chiesto di affrontare il problema si accorge che occorre capovolgere tutto. Questo è un prodotto da “vorrei ma non posso”: l’ideale per chi desidererebbe avere una casa all’estero (anche un buchetto, uno “studio” alla francese), ma non dispone di quei 50 o 60 milioni di lire (35.000/40.000 dollari U.S.A. di allora) che sono la soglia minima di accesso all’acquisto.
“Davvero paghereste il 10% come reddito annuo sul prezzo di vendita? Allora scontiamolo tutto all’inizio, anche a un tasso di attualizzazione elevato, così voi (società immobiliare) siete sicuri di non rimetterci.”
La logica è essenziale. Questo tipo di acquirente non è interessato al reddito, e può permettersi una vacanza in Spagna giusto una volta l’anno: l’Andalusia non è come la riviera ligure o romagnola, dove ci si va in macchina ogni week-end; e i voli “low cost” non sono stati ancora inventati.
Il listino, adesso, è un invito a nozze. Con poco più di 30 milioni di lire (22.000 USD) chiunque può comprare un monolocale con una formula sottilmente articolata. L’acquirente lascia alla società immobiliare l’usufrutto per 11 anni, per cui sarà tale società a incassare i redditi di gestione; egli, tuttavia, ha diritto a utilizzare gratuitamente l’alloggio per un periodo da 2 a 6 settimane, secondo la stagione che sceglie (alta, media o bassa), con tariffe preferenziali al ristorante. Fra 11 anni l’usufrutto svanirà e l’acquirente resterà pieno proprietario del bene.
I vantaggi fiscali sono notevoli: l’acquisto della sola nuda proprietà, essendo meno costoso, genera un’imposta minore e la futura ricongiunzione con l’usufrutto sarà esente. Inoltre, mentre il reddito annuo “cash” sarebbe stato soggetto a imposte dirette, l’utilizzo gratuito dell’immobile non ha certo implicazioni tributarie!
La pubblicità avviene tramite emittenti televisive locali in alcune regioni italiane e la formula di vendita è tipica di questa tipologia immobiliare: “Venite a trascorrere un fine settimana laggiù; se vi piace comprate, altrimenti ci rimborsate le sole spese vive del viaggio”.
Ma tutti i visitatori comprano e, nel giro di un mese, una trentina di miniappartamenti sono già stati venduti. Il gestore, temendo di perdere in futuro il controllo della struttura, avanza un’offerta importante alla società immobiliare, che monetizza in tal modo il suo investimento.
Perché raccontare questa vicenda? Non certo per imitarla: oggi le condizioni sono diverse, e un caso del genere, forse, non sarebbe replicabile. Piuttosto, per comprendere come i successi, nel settore delle società immobiliari, spesso richiedono l’impostazione di una strategia che non può prescindere da una corretta individuazione ex-ante dei potenziali acquirenti e delle loro effettive esigenze.